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Virginia e Monique (Momì)


di bube
10.11.2022    |    1.823    |    2 9.6
""Pensavo di vagabondare senza un programma, giorno per giorno come viene viene, ma sempre con l'idea di dormire in barca in qualche porticciolo o..."
Momì non si muoverebbe più. Non smetterebbe più di baciarmi e di essere baciata; allora devo fare la sorella maggiore: mi alzo, la prendo per mano, la porto di sotto.
"Dobbiamo riposarci adesso, e niente sole o finiamo arrosto."
" Sì, capitano."
" Qui non lo sentiamo il maestrale," continuo, "ma è rinforzato e seguita a rinforzare; ci sarà mare grosso, dovremo stare attente ed essere in gamba."
" Sì, capitano mio capitano..."
"Non fare la grulla, Momì! Mezz'ora al massimo poi si va."

La bacio, la copro con la trapunta leggera e lei sprofonda sorridendo nel più bello dei sonni.
Quando si sveglia io sono già vestita: stavolta non basta la maglietta, ho indosso anche la cerata.
"Mettila su anche tu, " le dico, " che dopo il caffè si va".
Perché intanto le avevo preparato il caffè, era il suo profumo che forse l'aveva risvegliata.

"Ma anche la cerata?" Sbuffa Momì, protestando che morirà di caldo.

"Dammi retta, non avrai caldo nemmeno un po', sentirai che doccia di mare prenderemo."

Il ritorno è stato emozionante, il maestrale l'avevamo quasi al traverso da sinistra, e la barca filava come un siluro, undici, dodici , tredici nodi; avevo deciso di non ridurre la velatura: si volava più veloci delle onde, FREEVOL era un gabbiano; l'isola del Giglio arrivò prima ancora del previsto; la lasciammo a destra, doppiammo Punta Fenaio e ci godemmo le ultime dieci miglia in un tempo record, poco più di mezz'ora con quel gagliardo maestrale.

Momì però si intristiva quanto più ci avvicinavamo al porto. Certo che vedersi attorno centinaia di barche di ogni tipo ormeggiate non era la stessa cosa della solitudine magica di Cala Scirocco; Momì mi guardava un po' triste, come se volesse dirmi: non è più vacanza, così. Ma obbediente, lavorava intenta a sistemare l'ormeggio.

Alla fine le proposi di andare a farci una pizza o quel che voleva lei; accettò volentieri, lo capivo che restare in barca lì al porto era piuttosto avvilente. Chiusi la barca e andammo a recuperare il mio scooter dal parcheggio riservato agli operatori turistici del porto; e poi via in pizzeria.
Momì si rinfrancò, chiacchierammo di banalità e alla fine le proposi: "domani il tempo dovrebbe essere favorevole, ma mare o non mare, vento o non vento, ci leviamo da qui e facciamo un bel giro per l'arcipelago."

Le brillavano gli occhi, fece cenno di sì più volte, e mi chiese che idee avessi.

"Pensavo di vagabondare senza un programma, giorno per giorno come viene viene, ma sempre con l'idea di dormire in barca in qualche porticciolo o caletta riparata; ce n'è da scegliere, sai. Decidiamo di volta in volta; che te ne pare?"
"E' proprio quello che speravo", mi sussurrò.

Brindammo con la birra, e poi la portai su al Convento dei Passionisti, a goderci una mezz'ora di silenzio e di fresco, e soprattutto i panorami incantevoli che si godono da lassù. Quando tornammo alla barca era molto più rilassata. Ci concedemmo un bicchierino, e poi a nanna. Appena in cuccetta lei mi si incollò addosso e mi baciò. Lo accettai volentieri, ma poi le dissi: "ora si dorme sorellina, domani sarà davvero una giornata lunga."

Lei sospirò, mi chiese sottovoce: "ma nemmeno un peccatuccio?"
Ridendo le mollai uno sculaccione e la rimproverai: "nessun peccatuccio, si dorme e basta, guarda che ti sveglio alle cinque domattina!"

L'indomani, dopo una lunga giornata di navigazione arrivammo in Sardegna, all'arcipelago della Maddalena: lì il vento non manca mai, ma riuscii a trovare una caletta riparata in una delle tante isolette dell'arcipelago. Poi, ovviamente bagno, doccia e riposino al sole che stava per tramontare.

C'erano altre barche nei pressi, così Momì, senza dire una parola, sistemò i tendalini a proteggere il pozzetto; di sole non ne volevamo più per il momento; qualcos'altro, sì.

"Ma adesso?..." Mormorò lei, quando fummo di nuovo sdraiate al riparo. Non le risposi nemmeno, chiusi gli occhi e sorrisi.
"Non sarò brava come te," disse; "ti accontenterai, spero... Spogliati... Via tutto..."

A occhi chiusi, sorrisi ancora e mi spogliai. E Momì, la mia piccola amante inesperta, incrociò le gambe con le mie, mettendo il pube a contatto col mio; mi baciò lieve, facendomi sentire appena la lingua, ruotando lentamente il bacino; poi il movimento si fece più focoso; e rallentava ogni tanto, sussurrava:
"voglio sentirti godere... perché ti voglio bene... perché sono la tua puttanella..."

Continuava a dire tenere oscenità senza smettere di strofinarsi contro di me, finché, incredibilmente, solo con quel movimento mi portò a un delizioso orgasmo. Mi ci volle un pochino per riprendermi: aprii gli occhi, la guardai che mi fissava soddisfatta.
"Ma dove l'hai imparata?"
"Al liceo, dalla prof di latino e greco," rispose.
"Dai, sii seria!"
"Sono serissima, non ti ricordi più dei tuoi studi? Sai perché le lesbiche le chiamavano anche Tribadi? Deriva dal verbo greco 'tribein', che vuol dire strofinare, strofinarsi... "
"Però la tua prof! E vi aveva fatto anche una dimostrazione pratica?"
"No, peccato... Sai, è una tipa giovane, carina ma anche brava a insegnare."
"Tribadi, eh? " Ripeto pensosa. "Ma 'ste tribadi facevano solo quello?"
"Io credo di no, era un soprannome, ma credo che facessero anche dell'altro." La guardo sorniona:
"Per esempio?"
"Per esempio, non so, ma..."

Mi baciò ancora e ancora; poi mi baciò il seno, mi succhiò i capezzoli, e continuava a farlo (sono sensibilissima lì e lei lo sa bene), ma adesso mi stava anche masturbando: delicatamente, dolcemente, abilmente; alternando dolci carezze con penetrazioni brusche: io non sono vergine e lei lo sapeva, così mi penetrava senza riguardo; ed io non capivo più nulla, sussultavo, gemevo, la incitavo...
"Devi godere di nuovo, Vi, voglio sentirti come fai... e voglio assaggiarti anche... dai amore vieni, vieni, vieni..."
La sua voce era un sussurro,le sue dita sempre più veloci e invadenti, ed eplosi in un orgasmo incredibile, interminabile, mentre lei mi baciava, raccoglieva fra le dita i miei umori, me li faceva assaggiare, li assaggiava a sua volta...

Restammo a lungo abbracciate, in silenzio, scambiandoci ogni tanto piccoli baci e tenere carezze fra le gambe. Eravamo di nuovo sorella e sorellina, baci e carezze erano intime, sì, ma dolci, innocenti. La giornata finì lentamente in un tramonto da cartolina.

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